Breve periodo tranquillo,
perché il carrarese, dopo tre anni, pose nuovamente l'assedio
a Treviso, adoperando questa volta argomenti più convincenti
e cioè sparando dalle sue torri di legno, piazzate a Ca'
Foncello, micidiali bordate di artiglieria che costrinsero
ben presto il Duca Leopoldo alla trattativa, conclusasi con
la cessione della Marca (con Feltre e Belluno) dietro il
versamento di 177 mila ducati (tanto era il valore di
Treviso e dintorni, in moneta spicciola, a quei tempi).
Quattro anni durò la signoria dei Da Carrara nel Trevigiano.
Francesco il Vecchio governò con criteri dispotici, adattando alla sua politica gli statuti e servendosi di funzionari
esperti in ruberie. Per timore di perdere le terre della
Marca, egli fortificò con nuove mura e trincee i centri
occupati e introdusse in città truppe fidate e grandi
riserve di granaglie. I trevigiani però, stanchi dei soprusi e delle malversazioni,
il 30 novembre 1388 insorsero contro il tiranno, devastarono
le case dei Ghibellini e il Banco dei prestiti e ripristinarono le forme di Governo del Comune con una
Assemblea
generale e un Direttorio di dieci membri delegato ad
esercitare provvisoriamente tutte le altre cariche. Il 3
dicembre Treviso ritornava nuovamente con Venezia e il 15
dicembre Francesco da Carrara lasciava tristemente la città
e il Castello sotto buona scorta delle truppe viscontee
comandate da Jacopo dal Verme, inviato dalla Serenissima con
il vice podestà Querini per sistemare il passaggio delle
consegne.
CON LA SERENISSIMA
Ma ecco la partita inaspettatamente complicarsi - scrive il
Michieli - per le brame di dominio di un'altra potente
famiglia del tempo: quella dei Visconti di Milano che mirava
ad abbattere tutte le signorie minori della Val Padana,
allargando il dominio dal Ticino al Brenta. E così avvenne,
anche con alleanze provvisorie e precarie, come quella dei
Carraresi, pur di arrivare al predominio. Così sul finire
del 1388 il biscione visconteo veniva issato su tutte le
città venete fino a Padova, mentre dal Brenta al Piave (compresa
Treviso) ritornò a sventolare il vessillo di S. Marco.
In mezzo a tante burrascose vicende Treviso "anco pensava"
direbbe il Tessari e invitava a pensare, per cui ebbe una
Università con insegnanti di diritto civile e canonico, di
grammatica e medicina, e durata oltre un secolo. Pensava
anche nel diritto e nelle istituzioni continuamente
aggiornando i suoi "statuti". Diritto vivo, che si viene
esprimendo in un arco di due secoli (XII - XIII),
riflettendo la società in crescita in un libero Comune di
elevato grado di civiltà nell'organizzazione dei servizi,
nella definizione di gerarchie e magistrature, nell'armonia
di leggi e ordini. Durante questa ripresa di cultura, di
espansione e di responsabilità civica, Treviso scopre anche
la sua funzione godereccia: con le corse al palio, con le
cacce a cavallo, con le finte battaglie tra i giovani della
città in occasione di celebrazioni di fatti politici o
dell'arrivo di eminenti personaggi. Gli statuti del tempo -
ricorda Michieli - concedevano speciali permessi, in
occasione di solenni cerimonie civili e religiose, a
saltimbanchi e giullari che divertivano il popolino e
attiravano in folla i contadini, mentre le case signorili
venivano allietate da trovieri e trovadori, che con rime e
canti raccontavano storie d'armi e d'amore. Fiorivano anche
i mercati e le fiere, le più antiche delle quali restano
quelle di S. Luca ("ad portum Silis") che si tengono ancor
oggi in ottobre.
Molte le opere nel campo della fede e della carità (iniziate
fin dall'ottavo secolo) con la erezione di chiese, conventi,
case ospedaliere, ricoveri per anziani, indigenti, ammalati.
Contemporaneamente i trevigiani andavano sostituendo le
abitazioni in legno con quelle in muratura. Sorgono il
Palazzo dei 300 (1217) e la Loggia dei Cavalieri(1276-77),
quindi arrivano a Treviso gli artisti del pennello che
affrescano le pareti delle case e le cappelle delle chiese.
Mirabile esempio Tomaso da Modena, pittore di rara
intelligenza, le cui opere maggiori si ammirano tutt'oggi in
S. Nicolò e a Santa Caterina, dove sono state trasportate le
sue "storie di Sant'Orsola". Treviso era diventata anche
meta di personaggi illustri. Dante, se non venne
personalmente, dimostra di conoscerla bene. Suo figlio
Pietro vi arrivò come giure consulto e vi morì nel 1364: la
sua tomba è ricomposta nella chiesa di S. Francesco. Anche
il Petrarca venne a Treviso più volte, di passaggio per
ambascerie e per visitare l'amico vescovo Francesco da Baone
o la figlia Francesca, che nel 1384 morì dando alla luce il
secondo figlio: anche la sua tomba si trova nella chiesa di
S. Francesco. In altre parole, Treviso, che in questo
tempo stava attraversando un periodo felice, scopriva la sua
vocazione di capoluogo della "Marca gioiosa et amorosa". Nei
primi anni del 1400 furono ospiti di riguardo a Treviso
(Netto) il celebre conte di Carmagnola, Giovanni VIII,
Ostario V da Polenta, ultimo signore di Ravenna, S.
Bernardino da Siena, l'imperatore Federico III ed altri.
Celebri in quel tempo furono le "giostre" in cui si
distinguevano per valore i cavalieri di Treviso e di
Venezia. Aumentavano inoltre le scuole alle dipendenze delle
confraternite dei "Battuti" e di "S. Liberale" (patrono di
Treviso), ove tenevano cattedra illustri docenti, letterati
e pensatori, monaci agostiniani e domenicani. Prosperavano
le cartiere e le tipografie, accanto ai commerci della lana
e delle biade. La popolazione, registrata da un censimento
eseguito il 3 aprile 1397, era di 7.258 unità. Molti
mercanti provenienti dall'estero (soprattutto dalla Toscana)
vi avevano preso dimora stabile favoriti da agevolazioni
fiscali. Nel 1496 sorge il Monte di Pietà. Nel 1489 arriva
ad Asolo Caterina Cornaro, regina di Cipro.
LA LEGA DI CAMBRAI
Passavano così gli anni più belli per la città della Marca,
mentre si addensavano su Venezia le nubi della malaugurata
Lega di Cambrai (10/12/1508), voluta dal Papa Giulio II, che
rivendicava le città romagnole (Faenza, Rimini, Ravenna),
dal re di Francia, il quale reclamava per diritti dinastici
la Lombardia orientale dall'imperatore d'Austria
Massimiliano I d'Asburgo. Questi voleva riavere l'lstria e
il Friuli dal re di Napoli, irritato contro Venezia per
l'occupazione di alcuni porti delle Puglie a garanzie di
crediti, e dai Duchi di Mantova e Ferrara che rivolevano il
Polesine. Mai come in questa occasione brillò la fedeltà di
Treviso verso Venezia, che la riteneva (a ragione) il più
importante baluardo per la sua salvezza. Le nuove opere di
difesa incominciarono nel luglio del 1509: le vecchie mura
merlate furono abbattute e al loro posto fu creato un largo
bastione, basso, con il piede molto affondato all'esterno in
un ampio fossato nel quale venivano immesse le acque del
Botteniga e del Sile, che invadevano anche tutta la campagna
circostante ove le borgate erano state rase al suolo.
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